Spuntano i denti dal tuo sorriso sereno, ora che finalmente riposi.
Ora che finalmente non ti squilla il telefono, non cerchi numeri sulle tue agende consunte, ora che il Padreterno sospira, già sapendo che dovrà sopportare un’anima che come nessun’altra sbuffa, provoca, stuzzica, attacca, incalza, tormenta.
Esagera.
Ti circonderanno su una nuvola per chiederti chi vincerà lo scudetto, distinguerai come sempre a modo tuo tra angeli e demoni, ma distinguerai comunque, parlando con tutti, non privando nessuno di una battuta, un pronostico, la tua ironia feroce.
Sarà stizzito, il Padreterno.
Ti vorrà bene infine, detestandoti, come quelli che non hanno avuto tempo, modo di sapere quale uomo ci fosse in quel piccolo insopportabile anarchico indisciplinato, sfacciato, linguacciuto.
Geniale.
E detestandoti ti hanno amato.
Nessun pavido coraggioso come te.
Nessuna maschera, nessuna corazza, puro vero credibile nella tua grandezza come nei tuoi errori, guidato dal tuo istinto perché quel maledetto fegato è stato il primo, e l’unico, e l’ultimo, a non reggerti più, ma il cuore e la tua mente non ti hanno abbandonato sino al minuto estremo.
Sorrette da quell’amore compulsivo per il tuo lavoro, per il pallone, per quella tua vita luminosa soavemente imprigionata in quelle due sole parole: lavoro e pallone.
Appunto.
Caro Maurizio, impossibile descrivere in poche righe, in pochi minuti, cos’abbia significato avere la fortuna di lavorare, vivere con te.
E quanto sia pesante questo vuoto adesso.
L’unica cosa difficile da capire nella tua vita di fuochi d’artificio, è quale spazio in te avesse Dio e quanto ti disorienterà la pace in cui oggi ti parrà surreale svegliarti.
L’unico segreto che ti sei portato via e che ora ti sarà già stato rivelato.
L’unico segreto che ti accompagna adesso, insieme con la nostra fortuna di averti vissuto.
Luca Serafini
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