Il Milan... per la maturità

Che il Milan sia una parte importantissima della nostra vita...
come negarlo ?
Che ci accompagni e segni la vita di ognuno di noi
è altrettanto innegabile.
Quanti ricordi personali riusciamo a legare ad un evento RossoNero ?
Da oggi,
per il nostro amico Fedro,
ce ne sarà uno in più.
Agli esami di maturità ha presentato una Tesina...
indovinate su cosa ?





AC MILAN S.p.A.

IL BILANCIO E LA VITA

DI UNA SOCIETA' PER AZIONI

ATIPICA




Il calcio assume da sempre un peso notevole nel nostro Paese dove fin dalla nascita di questo sport ricopre un ruolo economico-sociale di rilevante importanza, dovuto anche allo spazio che i mass-media regalano ad esso in campo nazionale.

La sua spinta popolare può essere spiegata con la semplicità e l’economicità delle attrezzature tipiche per questo sport, che in un paese da sempre piuttosto povero, non può essere particolare prescindibile, soprattutto in alcune zone.

Una delle squadre simbolo del calcio italiano è l’AC Milan, squadra alle origini assai popolare, sia per i personaggi che ne furono a capo sia per la tifoseria, soprannominata “Casciavit”, con chiara allusione all’estrazione industriale, o perlomeno manuale, dei suoi sostenitori.
L’AC Milan nasce il 16 dicembre 1899, nella Fiaschetteria Toscana di via Berchet, e fu fondato da due inglesi con la passione del football, Alfred Edwards ed Herbert Kilpin. Il primo, eletto presidente, fu vice-console britannico a Milano, oltre che personaggio noto agli ambienti dell’alta società industriale.

Il binomio football – industria non è per niente casuale, soprattutto a Milano, vertice del triangolo di cui facevano parte anche Torino e Genova, in cui si sviluppò il settore secondario italiano alla fine dell’Ottocento.
L’Italia arrivò con preoccupante ritardo all’appuntamento con la rivoluzione industriale, nata quasi un secolo prima in Inghilterra, grazie all’agricoltura, settore in cui il popolo anglosassone fu il primo a passare da una coltura di auto-profitto ad una coltura di mercato.
Questo cambiamento, unito allo sviluppo tecnologico, eliminò molta manodopera dalle campagne facendola confluire verso la città dove troverà occupazione nella nascente industria.
Nel Belpaese, invece, i fattori che permisero la nascita della grande industria furono l’afflusso di grandi capitali esteri, le infrastrutture create negli anni precedenti ma soprattutto il protezionismo doganale deciso dallo Stato italiano, sotto il governo Depretis, inaugurato nel 1878 e culminato con l’introduzione della tariffa protettiva del 1887.
Questo protezionismo non fece che allargare la forbice già presente tra Nord e Sud, in quanto vennero colpite le esportazioni di vino e agrumi delle regioni meridionali verso il resto dell’Europa (in particolare verso la Francia), regioni che non riuscirono a trarre benefici da questo protezionismo, in quanto praticamente privi di industrie.

Non bisogna però pensare che questo sia un vezzo puramente italiano, anzi. Al protezionismo si erano affidati tutti i second comers, cioè tutti quei paesi che si sono affacciati alla rivoluzione industriale dopo l’Inghilterra.

I luminari inglesi che vennero in Italia per fare l’Industria, si stazionarono nel triangolo sopraccitato, nelle province di Torino, Vercelli, Genova, Milano, città nelle quali si registra la fondazione di numerose società calcistiche, prima fra tutte l’Internazionale Torino (1891), seguita poi dalla Pro Vercelli (1892), Società Ginnastica Andrea Doria (1895), Juventus Football Club (1896), Genoa Cricket and Football Club (1897) e dal Milan Cricket and Foot-Ball Club (1899), fondate per lo più da inglesi, con la volontà di portare anche qua, non solo le idee industriali, ma anche i due sport più in voga lassù, il cricket e il football.

Kilpin fu il primo allenatore e il primo capitano della gloriosa storia rossonera, e fu colui che decise il rosso e il nero, come colori sociali, colori che saranno per, oltre cent’anni, simbolo della squadra meneghina. “Saremo una squadra di diavoli. I nostri colori saranno il rosso come il fuoco e il nero come la paura che incuteremo agli avversari!”.
Così, il ventinovenne tecnico industriale saluta la nascita del nuovo club di calcio di cui è uno dei fondatori, e spiega il perché dei colori sociali. È inglese, viene da Nottingham e giunge nel nostro paese, a Torino, per lavorare nell’industria tessile, da buon tecnico industriale quale è.
La sua vera passione però è il football, a soli 13 anni gioca nella prima linea del Club Garibaldi, nella sua città natale, per poi passare al Notts Olympic e al St. Andreas, squadra di seconda divisione britannica.

Il settore tessile era, assieme al settore metallurgico (la Fiat nasce e diventa grande in quegli anni), meccanico, chimico, tra i settori in maggiore sviluppo in quel periodo. Gli anni tra il 1905 e il 1909 furono quelli in cui il sistema giolittiano portò i migliori risultati nel settore secondario. Infatti si verificò un incremento annuale del 12% e grazie al protezionismo sopraccitato le industrie forti si rafforzarono sempre più, schiacciando quelle più deboli.
Infatti le grandi aziende italiane agiscono in un mercato monopolistico, legate tra loro da grandi banche, fornendo alla clientela prezzi alti e non competitivi, privilegiando una gestione speculativa piuttosto che una gestione imprenditoriale, che favorirono soltanto le grandi concentrazioni di aziende che si erano formate, soprattutto per quel che riguarda le costruzioni navali e i cotonifici, che dovevano la loro fortuna agli aiuti statali.
Succede quindi che molte grandi aziende trovino il tempo e il denaro di finanziare queste nuove associazioni che stanno sorgendo sul territorio, come successe per esempio con la Pirelli, società sorta pochi anni prima e già regina del settore chimico, il cui proprietario divenne per alcuni anni il presidente dell’AC Milan.
Col passare del tempo, le differenze si sono via via appianate e la globalizzazione che ha vissuto il nostro pianeta in questi anni ha travolto anche il mondo del calcio.

Accade quindi che il soprannome coniato per i tifosi del Milan, perda validità nel tempo, grazie anche alla spettacolarizzazione del sistema calcistico, che ha permesso a tutto il mondo di conoscere la realtà calcistica italiana, a cavallo tra gli anni 80 e 90, e che questa squadra non sia più il passatempo per pochi operai nel dopo-lavoro.
In quegli anni si è cominciato a diffondere via televisione molte partite del campionato italiano e delle maggiori competizioni nazionali ed internazionali, andando via via aumentando d’importanza fino a giungere alla situazione attuale, in cui tutte le partite vengono trasmesse in contemporanea sul satellite.

Oltre al calcio giocato esiste però anche il calcio parlato che riempie i giornali e le tv, soprattutto a livello locale.
Per capire quanto i mass-media vengono influenzati dallo sport, e dal calcio in particolare, dato che è senza dubbio questo lo sport più popolare in Italia, basta confrontare la programmazione settimanale dedicata allo sport o più in particolare al calcio, delle sei maggiori reti nazionali (Rai e Mediaset) con lo spazio dedicato alla cultura per esempio, oppure la quantità di quotidiani sportivi che gli italiani, solitamente popolo di scarsi lettori, acquistano, e viceversa l’influenza che i diritti televisivi hanno sul bilancio di una società calcistica.
Infatti in Italia ben 3 quotidiani si occupano esclusivamente di sport, cosa che negli altri paesi europei non accade. Osservando i dati raccolti tra il marzo 2006 e febbraio 2007 (rilevamento ADS) possiamo notare come tra i giornali con tiratura media superiore al mezzo milione di copie si trovino solo quattro giornali e il 50% siano giornali sportivi (“La Gazzetta dello Sport” e il “Corriere dello Sport” seguono il “Corriere della Sera” e “La Repubblica”), mentre sopra le 200mila copie possiamo trovare un altro giornale sportivo come “Tuttosport”.
Questo è un fenomeno non sottovalutabile e sembra, nonostante i vari scandali, un fenomeno ancora in via di evoluzione se confrontiamo i dati in nostro possesso con quelli rilevati un anno fa.
Utilizzando come termine di paragone la diffusione media, la differenza tra il Corriere della Sera, primo giornale italiano, e la Gazzetta dello Sport, primo giornale sportivo, è passata dal 55.66% dell’anno scorso al 27.98% attuale (come possiamo vedere nel grafico dove con l’arancio sono evidenziate le due testate), oppure come la diffusione del Corriere dello Sport sia aumentata del 64,56% in un anno (evidenziata nei due periodi con il colore verde).

L’importanza che viene data al calcio è rilevabile anche nei bilanci delle società calcistiche, aziende in cui le televisioni, pubbliche e private, investono molto, diventando persino prima fonte di guadagno, soprattutto per le società più piccole, che vivono grazie a questi introiti.

Il proprietario di una di queste aziende televisive, che ha investito moltissimo sul calcio è proprio il presidente del Milan Silvio Berlusconi, che grazie a questi suoi investimenti ha potuto lanciarsi come protagonista sulla scena nazionale dapprima in campo televisivo, poi in campo politico, sfruttando il vuoto ereditato da Tangentopoli, e infine in campo sportivo, dove ha portato un vento nuovo, soprattutto in merito alla cessione dei diritti televisivi da parte delle società a favore delle televisioni, sia pubbliche che locali.

Osservando il bilancio dell’AC Milan possiamo notare come nel conto economico, con riferimento al Valore della Produzione (valore 293.706.971 € evidenziato col verde), i “Proventi per cessione di diritti televisivi” (evidenziati con il colore arancione), sia per le competizioni nazionali che per quelle internazionali, abbiano come valore 159.408.856 €, cioè incida per il 54,27% sul Valore della Produzione.

Molto spesso le società sono passate dalla perdita d’esercizio all’utile d’esercizio grazie all’incremento di questi ultimi ricavi negli ultimi anni.
Il restante 45,73% è dato dalle plusvalenze sulle vendite di calciatori (valore 44.807.110, 15,26%), tema molto discusso in questo periodo e sui cui le Procure di Milano e Roma stanno ancora indagando, e dalla vendita dello spettacolo sportivo che incide in minima parte, 29.086.429 € su 293.706.971 €, cioè uno scarso 9.90%.
Le plusvalenze ottenute dalla cessione dei calciatori sono, sotto il profilo fiscale, suscettibili di essere rateizzate in quote costanti in un massimo di 5 periodi di imposta, compreso quello in cui sono state realizzate, così come dispone l’art. 54 TUIR.
La sopravvalutazione del patrimonio aziendale (giocatori) è data soprattutto dalla cattiva abitudine delle società calcistiche di scambiarsi i calciatori aumentandone il valore. Questa situazione crea per chi vende una plusvalenza tra il valore residuo d’ammortizzare (valutando i giocatori come cestiti ammortizzabili) e valore di vendita.

Facendo un esempio, possiamo immaginare che due società si scambino giocatori per 10000 € quando il loro valore residuo è pari a zero, cioè è stato completamente ammortizzato. L’impatto economico dell’operazione porta ad una plusvalenza per entrambe per 10000 €, quando invece non c’è stato nessun ingresso di denaro fresco in cassa. Questo permette a molte società di ottenere un utile (esempio lampante, i 44.809 milioni di plusvalenze che hanno permesso al Milan di dichiarare un utile nell’esercizio 2006) nel primo esercizio, spalmando, attraverso l’ammortamento, il costo economico dei giocatori.
All’interno dei Costi della Produzione, i salari, gli stipendi (oltre i 129 milioni di euro, incidente per il 49.32%), e gli oneri sociali relativi al tesserati, unitamente all’ammortamento dei costi di acquisizione di questi ultimi (sui 25 milioni, incisione sui Costi di Produzione 9,85%) costituiscono il Costo annuo del lavoro, il cui importo si attesta su livelli considerevoli.

Passando allo Stato Patrimoniale, l’investimento d’importo più considerevole individuato risulta essere, dopo le immobilizzazioni finanziarie in aziende controllate, costi capitalizzati da ammortizzare (70 milioni, peso 17,46% sulle attività), cioè l’immobilizzazione tecnico-strumentale più imponente è l’uomo-calciatore, che quindi viene retribuito, essendo legato alla società come un normale lavoratore subordinato.
Continuando nel passivo, rileviamo come l’intervento bancario non sia trascurabile, dato che i debiti verso banche raggiungono l’ammontare di 96 milioni, con un’incidenza 23,64% sul passivo.

A questo punto possiamo valutare il reddito d’esercizio che, diversamente da quelli precedenti, è in attivo. Nell’anno solare 2006, l’AC Milan Spa ha rilevato un utile di 2.478 milioni, dovuto soprattutto alla vendita del giocatore Andriy Shevchenko venduto nell’estate 2006 al Chelsea per 43 milioni e alla sua appartenenza alla galassia Fininvest (da cui è posseduto al 99,93%) se riesce a ottenere lauti contratti di diritti tv: una strapotenza contro cui nessuna società di serie A può competere (eccezion fatta per Inter e Juventus) e che riesce a far superare al club rossonero qualsiasi problema economico-finanziario.

Negli altri anni invece si è sempre rilevata una perdita (nel 2004 perdita di 28.539 milioni, nel 2005 4.582 milioni) che è stata sempre ripianata dal Presidente Silvio Berlusconi (che anche quest’anno, pur non ripianando perdite, ha concesso prestiti per 50 milioni attraverso Fininvest Spa).

Fino agli anni ’80 le società calcistiche erano riconosciute come associazioni sportive e non come società per azioni, il cui passaggio ha permesso a qualche società la quotazione in borsa.

Il Milan è stata la prima società calcistica italiana a percorrere questa strada, non impostando ex novo un modello sportivo, ma piuttosto sfruttando l’esperienza maturata in realtà aziendali di diverso genere come ad esempio Fininvest (ora Mediaset). Grazie a professionisti di comunicazione, di marketing e di organizzazione aziendale è stata strutturata per la prima volta, almeno in Italia, una società di calcio in modo aziendale, quindi con funzioni che andavano al di là della sola attività sportiva.

La Società per azioni (S.p.A.) è una società di capitali, in cui le partecipazioni dei soci sono espresse in azioni. Questo significa che il capitale sociale è frazionato in un determinato numero di titoli, ciascuno dei quali incorpora una certa quota di partecipazione ed i diritti sociali inerenti alla quota stessa.
In quanto società di capitali, le S.p.A. sono caratterizzate anche dall'autonomia patrimoniale perfetta, ossia dal massimo grado di autonomia patrimoniale. Il patrimonio della società, in altre parole, risulta essere completamente distinto da quello dei soci che, quindi, non sono chiamati a rispondere delle obbligazioni sociali.
La responsabilità dei soci è limitata, in via di principio, alla sola quota di partecipazione.
Il loro scopo principale è quello di rilevare un utile, da distribuire i soci sotto forma di dividendo.
L’esigenza della rilevazione di un utile nelle società calcistiche non c’è e questa la rende una società per azioni altamente atipica, in cui l’obiettivo primario è il raggiungimento della vittoria sportiva e non quella di un utile.
La percentuale maggiore all’interno delle attività di questo tipo di società, solitamente, compete alle immobilizzazioni, cosa che invece non accade nelle società calcistiche italiane, che oltre all’immobilizzazione calciatori, non hanno grosse immobilizzazioni, eccezion fatta per poche società (per esempio la Reggiana, disputa le proprie gare interne in uno stadio di sua proprietà).

Essere proprietari di un grande centro sportivo è in tutta Europa una necessità, mentre in Italia è solo un privilegio. Infatti solo le tre più grandi squadre italiane (Milan, Inter e Juventus) posseggono un centro sportivo di loro proprietà (o perlomeno di proprietà di società collegate, come nel caso del Milan, che prende in locazione il centro sportivo Milanello dalla società Milan Real Estate Spa, società controllata e con lo stesso CdA dell’Ac Milan Spa, col classico trucco delle scatole cinesi), mentre le altre lo prendono in locazione dal comune o dalla provincia in cui risiedono.

Stesso discorso vale per gli stadi in cui le squadre giocano sono di regola di proprietà del Comune, che le concede per n anni alle società (per esempio il Comune di Milano ha dato in concessione lo stadio Meazza per 99 anni a Milan ed Inter), mentre invece negli altri paesi europei tutti gli stadi e i centri sportivi sono di proprietà privata della società, che in taluni casi l’ha venduto allo Stato ricavando fior di quattrini.
E’ l’esempio del Real Madrid, che nel 2000 riuscì a vendere la Ciudad Deportiva (nel linguaggio spagnolo “casa della nonna” in quanto storico centro di allenamento per le merengues) per 421 milioni al Comune di Madrid, sistemando cosi i suoi bilanci, in grave perdita.
Questa mossa è stata aspramente criticata dall’Unione Europea che ha indagato sull’operazione, senza comminare poi nessuna sanzione.
Secondo l’UE questa operazione avrebbe potuto violare la norma secondo cui sono vietati gli aiuti di stato ad aziende private.

Per lo stesso motivo fu criticato il decreto italiano spalmadebiti. E' il febbraio 2003 quando il governo italiano approva il provvedimento che permette alle società di calcio di dividere su 10 anni anziché su 3 la svalutazione del "parco calciatori" consentendo di abbattere il passivo e di diluire, nel contempo, il pagamento delle tasse nel corso degli anni.
Secondo le autorità italiane, questo avrebbe permesso di creare plusvalenze maggiori e quindi aumentare l’imponibile tassabile. Ma in concreto questa norma fu fatta per salvare dal fallimento molte società, che in quel momento o ricapitalizzavano oppure fallivano.
Per esempio la Lazio doveva al Fisco ben 128 mln di euro, che grazie al decreto vennero suddivise in 10 comode rate, rateizzazione che permise alla Lazio di salvarsi e avere denaro da investire sul mercato.
Questa legge permise alle società italiane di tornare in linea con la tassazione annuale negli altri paesi europei, più precisamente con la Spagna, dove la nuova normativa sulla fiscalità dei nuovi residenti, datata giugno 2005, ha permesso un netto taglio al costo del lavoro per i giocatori che giungono da squadre estere.

Per usufruire del regime speciale di tassazione, i contribuenti devono essere in possesso di alcuni requisiti:
- la prima condizione richiesta è di non aver avuto la residenza in Spagna negli ultimi dieci anni;
- la seconda è che il trasferimento avvenga a seguito di un contratto di lavoro. Questa condizione si ritiene soddisfatta nel momento in cui inizia una relazione lavorativa, ordinaria o straordinaria o statutaria con un datore di lavoro in Spagna;
- il terzo requisito è che il lavoro, a seguito del quale si chiede la residenza fiscale nella penisola iberica, sia realmente svolto in territorio spagnolo.
Naturalmente il calciatore arriva dall’estero, ha già firmato un contratto con la società spagnola e gioca, ovviamente, nel campionato spagnolo.

Secondo un calcolo fornito alla stampa, dall’Ac Milan, nella persona di Adriano Galiani, a parità di lordo fra Spagna e Italia, il calciatore in Spagna guadagna il 50% in più di netto
Quindi se il Milan spende per un giocatore 12 milioni, il giocatore ne riceve 4, mentre se il giocatore fosse del Real Madrid, a parità di lordo, ne guadagnerebbe 8.

Questi sono solo alcuni dei problemi che sono sorti nell’ultimo periodo e che stanno creando più scalpore nel mondo del calcio, oltre ai ben più noti problemi legati al bilancio e alla loro validità. L’organo di controllo delle società di calcio è la Co.vi.so.c., la cui sigla sta per Commissione di vigilanza sulle società calcistiche, che però è legata a doppio filo alle società calcistiche, almeno alle più grandi, e quindi non può certo garantire il regolare svolgimento del campionato.
Basti vedere che praticamente tutte le società ogni anno mettono a bilancio una perdita d’esercizio, limitata dai trucchi contabili descritti sopra. Ma come ben si sa bisogna mettere in campo tutti i mezzi possibili per vincere, anche quelli un po’ meno regolari, anche a costo di veder colare a picco le società, come successo prima con la Lazio di Cragnotti e poi con il Parma di Tanzi, entrambe salvate dal fallimento dallo Stato ed ora in mani più tranquille.
Infatti l’amministratore delegato del Milan ha dichiarato, qualche settimana fa, che è praticamente impossibile assistere ad un utile quando si vuole vincere.
Questa situazione è stata avallata soprattutto dal Presidente che dalla sua salita in sella alla società ha sempre voluto il meglio per la sua squadra, anche spendendo ingenti cifre attingendo all’azienda di famiglia, per quel riguarda la concessione dei diritti tv, attraverso il digitale Mediaset, e finanziamenti.

Silvio Berlusconi è un imprenditore milanese che comincia la sua scalata alla comunicazione rilevando nel 1978 una televisione via cavo operante nella zona residenziale di Milano 2.
A tale società due anni dopo viene dato il nome di Canale 5, ed assume la forma di network a livello nazionale, comprendente più emittenti. L'escalation della società appare subito folgorante: nel 1981 trasmette il Mundialito, un torneo di calcio fra nazionali sudamericane ed europee, compresa quella italiana.
Per tale evento, nonostante gli iniziali pareri sfavorevoli da parte di ministri del governo Forlani, ottiene dalla RAI l'uso del satellite e la diretta per la trasmissione in Lombardia, mentre nel resto d'Italia l'evento viene trasmesso in differita.
A partire dal 1981, Berlusconi inizia ad utilizzare il proprio network di emittenti locali come se fosse un'unica emittente nazionale: registrando con un giorno d'anticipo tutti i programmi e le pubblicità e trasmettendo il tutto il giorno seguente in contemporanea in tutta Italia.
Per la radio e la televisione il potere di effettuare trasmissioni è stato affidato alla Rai fino al 1976, anno in cui, con la storica sentenza n. 202, la Corte Costituzionale affermò che il monopolio era legittimo a livello nazionale, ma a livello locale dovevano essere ammesse emittenti private.

Il decennio successivo vide l'affermazione delle emittenti private di Silvio Berlusconi e il loro immediato successo (grazie anche all’intervento di Bettino Craxi che con un decreto legge, la cui tramutazione in legge fu molto tribolata, legalizzò la tv privata a carattere nazionale).

Il gruppo Fininvest riuscì perciò a spezzare l'allora monopolio televisivo RAI.
Quindi d
a un regime di totale proibizione si passò improvvisamente a un regime di completa libertà.

Si arrivò ben presto ad una situazione di duopolio Rai-Mediaset, levigato un po’ nel 2004 con la Legge Gasparri, che introduce la tecnologia del digitale terrestre e con esso la possibilità di ampliare i canali a disposizione.

Contro la concentrazione dell’informazione, la legge cerca di impedire la formazione di posizioni dominanti nell’ambito delle comunicazioni di massa e dispone che nessun soggetto possa conseguire utile superiori al 20% dei ricavi complessivi del sistema integrato delle comunicazioni. Sono inoltre posti limiti per la messa in onda di messaggi pubblicitari, tema molto caldo, visto il conflitto di interessi che lega Mediaset e Publitalia ’80, altra azienda targata Berlusconi.
Per vigilare su queste norme, è nata l’Authority per la garanzia per le comunicazioni, al quale è affidato il compito di vigilare nel rispetto di queste regole.

Nonostante ciò questa questione continua a presentarsi in Italia, come uno fra i temi più scottanti, dato l’enorme flusso di denaro che ruota attorno ai mass-media, televisione soprattutto.

Un grande "in bocca al lupo" per gli esami al nostro amico

e per chi volesse vedere la sua tesina nella sua originalità
segnaliamo il link

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